Milton Friedman affermava che “l’inflazione è una forma di tassazione che può venire imposta senza legislazione”. Se questo è vero, il ritorno del fenomeno inflattivo quali ripercussioni potrebbe avere in questo particolare contesto, che rispetto al passato, si caratterizza per maggiori e crescenti disuguaglianze economiche all’interno della popolazione?
A poco più di un anno di distanza dall’esplosione dell’emergenza Covid-19 la situazione sanitaria, almeno in Europa e Nord America, sembra ritornare gradualmente alla normalità, o se vogliamo, ad una “nuova normalità”. L’accelerazione del programma vaccinale di questi ultimi mesi ha indubbiamente comportato una iniezione di fiducia sia nelle imprese che nei privati, ciò testimoniato anche dai rimbalzi subiti dai relativi indici, ai massimi storici dall’inizio dell’emergenza, tuttavia ancora significativamente inferiori rispetto alla situazione pre-pandemica (-8,5 punti).
Le riaperture delle attività economiche sono state oramai tutte “liberalizzate” e l’economia è già tornata a correre evidenziando, in quasi tutti i paesi (compresa l’Italia), rimbalzi di PIL superiori alle previsioni degli analisti. Per citare alcuni esempi: la FED ha rivisto al rialzo le stime di crescita del PIL USA 2021 a +6,5% (dal +4,2% della stima di dicembre 2020); la Commissione Europea stima una crescita del PIL comunitario del +4,2%, alzando al contempo anche le previsioni relative all’Italia (+4,2% nel 2021 e +4,4% nel 2022, vero anno di ripresa anche e per effetto dell’accesso al PNRR).
A fianco di tutto questo sembra stia tornando, quasi in sordina, il “mostro mitologico” legato all’aumento dei prezzi, fenomeno dimenticato in Italia (soprattutto) e in buona parte dell’Europa negli ultimi 10 anni ma tornato prepotentemente nei radar degli operatori in queste ultime settimane.
Tale fenomeno, va ricordato, rappresenta una importante misura di salute dell’economia di un paese: in effetti, esso, oltre a misurare il livello di fiducia nell’operato delle politiche economiche centrali, rappresenta, in ultima analisi, un processo di ridistribuzione della ricchezza, pertanto, da tenere in debita considerazione, in particolare in quelle situazioni dove sono già presenti rilevanti squilibri socio-economici.
Analizzando i dati recenti, l’inflazione ha subito una significativa accelerazione negli ultimi mesi: in USA la questione inizia a preoccupare il presidente della FED, il quale ha già annunciato l’avvio del cd. “tapering”, ovvero la riduzione, da parte della stessa FED, degli acquisti di titoli emessi del Tesoro USA (oggi circa 120 miliardi al mese).
In Eu, tale fenomeno, anch’esso in rapida evoluzione, sembra destare invece, per il momento, meno preoccupazioni, in quanto ritenuto passeggero e prevalentemente legato ad un aumento temporaneo dei prezzi dell’energia e ad altri eventi legati a fattori esogeni (es: blocco del canale di Suez con conseguente incremento dei prezzi delle commodities, ecc…). Lo stesso Mario Draghi, o “Draghi put” come soprannominato dagli analisti di Goldman Sachs per “la sua capacità di trasformare in oro tutto ciò che tocca”, ha recentemente affrontato il tema dell’inflazione, definendo l’aumento registrato negli ultimi mesi, come passeggero e non preoccupante.
A quale corrente di pensiero fare affidamento? Il pragmatismo americano o l’ottimismo europeo/italiano?
Una cosa è abbastanza certa: il significativo peggioramento dei principali parametri economici dello Stato italiano (PIL, deficit e debito pubblico) registrati nell’ultimo anno, unito al ritorno dell’inflazione potrebbero determinare ulteriori squilibri e nuove problematiche. Secondo l’economista Carlo Cottarelli “un aumento dell’inflazione non faciliterebbe necessariamente la riduzione del debito pubblico in quanto i Titoli di nuova emissione incorporerebbero la maggior inflazione…”, aggiungendo tuttavia, che “…se la maggior inflazione inducesse la BCE ad interrompere il PEPP (il programma di acquisto di titoli pubblici), questo avrebbe un significativo impatto sui tassi, determinando un aumento della spesa per interessi (oggi superiore a 80 miliardi all’anno!) e rendendo più difficile (dato l’enorme stock di debito), quando verranno reintrodotti, il rispetto dei parametri previsti nel Patto di Stabilità e Crescita Europeo”.
Sulla base di queste premesse, la generazione di un livello d’inflazione sostenibile diventerà probabilmente, oltreché una delle principali sfide della ripresa economica del Vecchio Continente, uno dei maggiori strumenti per il contenimento e la riduzione delle disuguaglianze economiche.
Michele Ciocca