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L’ESPERTO RISPONDE, IL REVERSE CHARGE

Le sanzioni in caso di mancata applicazione sulle fatture ricevute dal fornitore

DOMANDA

Sono responsabile amministrativa di un’azienda di smaltimento rifiuti. Ho ricevuto circa 30 giorni fa una fattura di un fornitore che mi addebitava l’Iva in fattura. Senza entrare nel merito della prestazione, il nostro fiscalista sosteneva che tale fattura sarebbe stata da assoggettare al

meccanismo del Reverse Charge, tesi contestata dal fiscalista del fornitore. Il fornitore per il momento non ha voluto cambiare la fattura e quindi assoggettarla a Reverse Charge. L’importo non elevatissimo, Euro 52.400 di imponibile, quindi euro 11.528 di assoggettamento Iva. In accordo con il mio titolare per il momento abbiamo deciso di tenere la fattura così com’è, essendo per noi anche un fornitore quasi “strategico” con cui vorremmo evitare di entrare in conflitto. Dobbiamo però tutelarci. Le chiedo se rischiamo sanzioni avendo comunque pagato l’Iva al nostro fornitore? Inoltre, l’Amministrazione Finanziaria potrebbe contestarci il diritto alla detrazione?

D.V: Lodi

UFFICIO STUDI AUDIREVI RISPONDE

Le sanzioni e la conservazione del diritto di detrazione

La norma che regola gli aspetti sanzionatori della mancata applicazione del meccanismo delReverse Charge è stata rivista recentemente a opera del D.Lgs 158/2015 in vigore dal 1 gennaio 2016.

In primis è stata prevista una sanzione in misura fissa (da 250 a 10.000 Euro) che grava in capo al committente, ovvero il cliente (nel caso da Lei esposto quindi alla Sua azienda). Di tale sanzione il fornitore risponde solamente in via “solidale” così come richiamato dal comma 9-bis1 che spiega “Al pagamento della sanzione è solidalmente tenuto il cedente o prestatore”. Naturalmente se fosse provato dall’Amministrazione Finanziaria che tale mancata applicazione dell’inversione contabile è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il committente/cliente era consapevole, le sanzioni sarebbero molto più pesanti (90 al 180 per cento dell’imposta non correttamente evidenziata in fattura).

Quindi, anche se non vi è una conferma ufficiale nella Legge e da parte dell’Agenzia delle Entrate, la sanzione “fissa” dovrebbe essere sganciata dal comportamento tenuto dal fornitore con riferimento al suo obbligo di versamento dell’Iva a debito. Il cedente quindi in caso di mancato versamento della stessa resterà soggetto alla specifica disposizione sanzionatoria contemplata dall’articolo 13 del D.Lgs. 471/1997 relativa ai ritardati od omessi versamenti.

Di conseguenza il committente/cliente conserva il diritto di detrarre l’Iva sulla fattura erroneamente emessa e, inoltre, pur avvedendosi del fatto che c’è qualcosa che non va nella scelta operata dal cedente/prestatore, non è tenuto egli stesso ad assolvere l’imposta.

CONSIGLIO DELL’ESPERTO

Il D.Lgs 158/2015 non disciplina il comportamento da tenere da parte del committente/cliente che manifesta la volontà di regolarizzare una situazione da lui non creata.

Tuttavia si ritiene possa trovare applicazione la soluzione esplicitamente richiamata nel precedente comma 9-bis del D.Lgs. 471/1997 nei casi di ricezione di fattura irregolare da parte del committente/cliente nel contesto dei casi di omesso Reverse Charge.

In tal caso, anche sulla base delle precisazioni fornite dall’Agenzia nella circolare n. 12/E/2008 il cessionario/committente dovrebbe procedere astenendosi dall’esercitare la detrazione sulla fattura errata (al fine di evitare duplicazioni), informare l’Ufficio delle entrate entro 30 giorni da quello di emissione della fattura e provvedere nello stesso termine alla regolarizzazione assolvendo l’imposta mediante inversione contabile. Tuttavia tale soluzione appare poco praticabile essendo per Voi un fornitore strategico.

Aggiungo che questa soluzione appare poco consigliabile se il committente/cliente ha già provveduto a pagare la fattura errata al proprio cedente/fornitore. In questo caso è forse più conveniente valutare da parte vostra il pagamento della sanzione in misura fissa minima di 250 Euro, attraverso l’istituto del ravvedimento operoso.