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Audirevi TALKS (About Economy) 2.0 – La valutazione dei beni intangibili nell’ambito di operazioni straordinarie

Le aziende di successo tendono sempre più ad operare con una dotazione limitata di asset materiali: le società quotate a maggiore capitalizzazione sono oggi realtà ad alta intensità di capitale intangibile che vantano asset “fisici” trascurabili.

L’individuazione di metodi idonei ad apprezzare il contributo alla creazione di valore dagli attivi immateriali, anche nell’ambito di operazioni straordinarie, è da tempo argomento di dibattito, con l’obiettivo di superare modelli valutativi, princìpi contabili e strumenti d’analisi tradizionali, elaborati durante periodi storici ad elevata industrializzazione, e quindi, per certi versi, obsoleti in un contesto di accentuata transizione delle principali economie mondiali verso modelli service-oriented.

Le attività immateriali sviluppate internamente, benché considerate, a norma dei princìpi contabili più diffusi, come costi d’esercizio, sebbene astrattamente in grado di generare valore nel tempo, rappresentano un elemento fondamentale alla base delle performance delle principali società quotate: i titoli relativi a società ad elevata presenza di intangibili hanno storicamente conseguito extra-rendimenti rispetto al mercato. Nel mercato private, la possibilità di far emergere, attraverso operazioni di M&A, il capitale immateriale generato internamente rappresenta un’opportunità ed un elemento negoziale per gli investitori.

Ciononostante, i metodi di valutazione più diffusamente impiegati nella prassi, tra i quali quelli basati sui moltiplicatori di mercato e sull’attualizzazione dei flussi di cassa operativi, e le conseguenti modalità di determinazione dei prezzi delle transazioni, risultano talvolta inadeguati ad esprimere compiutamente il valore che si sta negoziando: da un lato, i valori di marginalità (ebitda) risultano condizionati dai costi sostenuti per lo sviluppo di tali asset, difficilmente individuabili e, dall’altro, i differenziali di prezzo sono tipicamente inclusi, a valle di un’acquisizione, all’interno della voce avviamento, che dovrebbe, idealmente, ricomprendere il solo valore attualizzato dei benefici economici futuri non attribuibili ad alcun intangibile “specifico” e quindi coincidere, in sostanza, con le potenziali sinergie generate dall’operazione.

E’ quindi auspicabile che i processi d’investimento, in particolare di calcolo del pricing e dei relativi aggiustamenti, siano adattati al fine di riflettere queste potenzialità. Per questa ragione, in settori caratterizzati da driver di valore prevalentemente di natura “immateriale”, o in ipotesi di imprese in uno stadio iniziale del ciclo di vita, è opportuno che le attività di due diligence siano intese, oltre che come identificazione di potenziali rischi o criticità, come ricerca di potenziali opportunità, con il superamento di una logica improntata alla semplice valutazione dell’EBITDA (ancorché “normalizzato”) a favore di una logica orientata a cogliere gli strumenti strategici di creazione di valore.

In questo senso si stanno muovendo i più recenti trend nel mercato dei deals, tra cui la diffusione delle due diligence di sostenibilità.

A cura di Annalisa Vitali – Junior Partner Nexia Audirevi

 

 

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