Un articolo su Heidegger riguardante il “potere della Tecnica” mi ha portato a riflettere su alcuni aspetti che riguardano la vita di ogni giorno. Siamo infatti tutti immersi in un modo tecnologico, ma spesso non ne valutiamo adeguatamente le possibili conseguenze o interrelazioni.
La frase di Heidegger che ha messo in moto il ragionamento è quella riferita alla sua convinzione che “il maggior pericolo del suo tempo sia dovuto alla progressiva uni-dimensionalità della ragione che fa del pensiero e agire tecnico l’unico e il solo modo di stare al mondo dell’uomo”.
In effetti, il volersi affidare all’esclusivo funzionamento di un sistema, per esempio di un software, non è forse la volontà di tendere ad un processo di oggettivazione che renda ogni ente, compreso l’uomo, uno strumento in vista di un fine?
Quanta parte delle nostre azioni deleghiamo alla tecnica? Quanto potere ha una struttura tecnologica sulla nostra capacità di soggettivazione? Sempre secondo Heidegger, “dal punto di vista del potere, tecnica e rete risultano inseparabili tanto che ogni tecnologia è in sé stessa una rete quasi-finita di relazioni ordinate e regolate dal potere stesso della rete e poiché, la questione della tecnica è antica quanto il dominio dell’uomo sul fuoco, la rete non può più venir pensata come la moda del nuovo millennio ma come argomento degno di indagine filosofica”.
Il potere della tecnica non agisce attraverso azioni violente e determinate ma, ciononostante, è capace di ordinare, regolare e individuare le connessioni, gli scambi d’informazioni e le azioni delle componenti individuali. È un potere totalitario ma decentrato, continuo ma discreto, individuante e dissociante.
A cosa mi hanno condotto queste riflessioni? Certo non ad una risposta. Lo stesso Heidegger ci dice poco o nulla circa “possibili altre vie praticabili”, figuratevi se lo posso fare io. Però, mi sono fatto una mia personalissima idea e cioè: non credo che un sistema, per quanto perfetto, potrà mai sostituire la genialità dell’individuo come essere “unico ed irripetibile” riscontrabile in ogni singola persona.
E per restare nell’ambito che più mi appartiene: pensate veramente che un software potrà mai sostituirsi a quell’insieme di doti quali l’esperienza, la conoscenza del cliente, le capacità di discernimento, che conducono a un ragionevole giudizio sul bilancio e che fanno di un qualunque professionista un vero revisore dei conti?
Gian Mauro Calligari